Teatro Electra di Pistoia ha avuto la straordinaria opportunità di girare un corto all’interno della Casa Circondariale di Pistoia.
vedi il trailer: http://teatroelectra-regia.blogspot.com
Regia: Giuseppe Tesi
Interpreti: Melania Giglio, Giuseppe Sartori, alcuni detenuti (12) della Casa Circondariale di Pistoia
Direttore della fotografia: Riccardo De Felice
Fonico in presa diretta: Edoardo Nuzzi
Adattamento del testo: Martina Novelli
Montaggio: Riccardo De Felice
Tratto dal dramma poetico Stabat Mater di Grazia Frisina, in Madri, ed. Oedipus, 2019
Fare teatro in carcere è, oggi più che mai, una necessità sociale. Conoscere e far conoscere questa realtà è un’urgenza.
Abbiamo avuto la possibilità di iniziare un laboratorio di teatro in Santa Caterina in Brana a metà del 2019. Avevamo un testo, Stabat Mater, di Grazia Frisina, che aveva affascinato il regista Giuseppe Tesi sia per i contenuti, sia per la scrittura poetica del dramma, sia per la struttura. Frisina, infatti, con un impianto che si rifà alla tragedia greca (presenza del Coro, della Corifea e della protagonista), dà alla figura di Maria una nuova immagine: la trasforma da donna del silenzio a donna reale, sopraffatta dall’immenso dolore provocato dalla morte violenta ed ingiusta del figlio. A lei si alternano gli interventi della Corifea e del Coro, che fanno da corollario ai pensieri della protagonista, dando interpretazioni da punti di vista differenti. Quindi contenuti e linguaggio coraggiosi da proporre in una struttura penitenziaria, maschile. Tenendo conto anche del fatto che la permanenza dei detenuti, in una casa circondariale, non corrisponde alla certezza che tutti possano arrivare alla fine della preparazione di uno spettacolo da mettere in scena, siamo arrivati, quasi automaticamente, a scegliere la forma del cortometraggio. Questo ci ha permesso di “fermare” nei fotogrammi il lavoro che ciascuno di loro ha fatto.
Il contenuto del testo, comunque, non era semplice da proporre in una comunità che avrebbe potuto non accettare di buon grado la radice culturale legata alla religione, in particolare quella cattolica. Tanti detenuti che abbiamo incontrato professano credo diversi. La nostra intenzione è stata subito molto chiara, al riguardo: non era una vicenda legata ai Vangeli, quella che proponevamo. Era una sorta di rappresentazione universale di un sentimento di tutti: il dolore. Non era importante che il mezzo utilizzato fosse una vicenda legata alla vita di Gesù: in ogni tempo ed in ogni luogo si sono verificati (e continuano a verificarsi) eventi drammatici e dolorosi. Questo episodio è iconico, anche per la simbologia che porta con sé; inoltre ogni religione ha i suoi simboli ed i suoi martiri, indipendentemente da come vengono chiamati. Questo genere di chiarimenti ha fatto in modo di coinvolgere complessivamente 12 detenuti, di diverse etnie e religioni, che hanno partecipato alla realizzazione del corto. Tutto ciò, purtroppo, in tempi diversi a causa della situazione sanitaria che ci ha colto dopo un mese dall’inizio delle riprese. Siamo riusciti a concludere il lavoro in un anno, con moltissime difficoltà causate dalle interruzioni, inevitabili, per la pandemia.
La partecipazione di Melania Giglio (nel ruolo della Madre) e di Giuseppe Sartori (nel ruolo della Corifea e parzialmente in quello del Figlio), attrice ed attore professionisti, ha permesso ai detenuti di prendere parte ad un lavoro di alta qualità, sia per lo studio che per l’impegno non casuali, ma con un livello di coinvolgimento intellettuale non frequente in questi contesti.
Una sfida dietro l’altra, quindi.
Ma la sfida delle sfide è quella che hanno affrontato i detenuti attori, che si sono affidati alla direzione di Giuseppe Tesi e hanno dato vita ad un cortometraggio che in 33 minuti contiene talmente tante emozioni da lasciare lo spettatore con una serie di domande che premono per avere una risposta. Intanto qualcuna la butto lì io, come stimolo ad altre che il corto può far sorgere: perché certi luoghi (il carcere, nel caso specifico) sembrano essere negati alla bellezza? Perché ciò che viene sancito nell’articolo 27 della nostra Costituzione (“Le pene … devono tendere alla rieducazione del condannato”) trova l’applicazione nella realtà quotidiana degli istituti di pena solo nei casi in cui si sia in presenza di una dirigenza illuminata e disposta a confrontarsi con la farraginosità delle norme che regolano la vita dei detenuti e della polizia penitenziaria? Perché non si riesce a trovare un giusto compromesso fra la necessità della pena e un utilizzo della stessa in senso costruttivo? Perché la rieducazione prevista non dovrebbe contemplare l’avvicinamento permanente (e non sporadico, come – per cause di forza maggiore – succede nelle strutture detentive più piccole) alla cultura? Perché le stesse piccole realtà spesso hanno discontinuità nella presenza di educatori qualificati? Perché le “cause di forza maggiore” sono così difficili da superare?
Certo, la complessità del problema è molto vasta, deve tenere conto di milioni di varianti che, in ogni caso, tendono alla sicurezza della comunità. Il cammino dovrebbe partire da più punti, dal disagio sociale, dalla povertà diffusa, dalle disuguaglianze, da tutto ciò che porta a delinquere. Ma nel frattempo, vista la difficoltà oggettiva del percorso, ritengo che sia urgente dare ai detenuti l’opportunità di vedere e sperimentare una realtà che mitighi la coercizione della mente: il teatro, l’arte, la musica, la scrittura creativa, il cinema, ma anche lo sport, i laboratori artigianali potrebbero fare tanto… Personalmente ho un’infinita stima delle dirigenze che permettono (a volte con infinite difficoltà) a personale volontario e non di portare avanti queste attività.
Teatro Electra, da associazione composta da volontari, ha avuto il privilegio di poter accedere ad un’esperienza unica. Certamente non ha potuto fare tutto da sola: i professionisti che ci hanno affiancato (gli attori, i tecnici di ripresa e fonica, il tecnico di montaggio) non hanno lavorato da volontari. In questo siamo stati sostenuti dalla Fondazione Cassa di Risparmio, dalla Fondazione Un raggio di luce, dalla Fondazione Giorgio Tesi, dall’Ordine degli Avvocati di Pistoia, dalla Società della Salute di Pistoia, dall’Unicoop sez. di Pistoia, dalla Misericordia di Pistoia, dalla Fondazione San Giovanni, da Publiacqua, e da tanti privati che, con donazioni, ci hanno permesso di concludere il lavoro. Non ringrazieremo mai abbastanza questi soggetti che hanno creduto nella qualità del nostro lavoro, sia da un punto di vista sociale che intellettuale.
Adesso, dopo aver ottenuto i dovuti permessi dal Ministero della Giustizia, Stabat Mater verrà presentato, appena la situazione sanitaria lo permetterà, prima di tutto in Santa Caterina, quindi alla città di Pistoia. Poi partirà per vari concorsi dove speriamo abbia i suoi meritati riconoscimenti.
Senza tanta retorica, spero, ho voluto testimoniare questa meravigliosa esperienza che spero abbia un seguito. E, altrettanto senza retorica, ringrazio la dirigenza della Casa Circondariale di Pistoia, prima fra tutti la Direttrice Dr.ssa Loredana Stefanelli, la Dirigente amministrativa Dr.ssa Rosa Cirone, il Comandante Mario Salzano con tutto il personale della Polizia Penitenziaria, oltre ai miei compagni di viaggio di sempre, Giuseppe Tesi, Martina Novelli e Sandro Castagnoli, e quelli di questa volta, Melania Giglio, Giuseppe Sartori, Grazia Frisina, Riccardo De Felice, Edoardo Nuzzi che, se e quando vorranno, potranno unirsi a noi per un’altra avventura.
Elena Bernardini